Perché Dovremmo Smetterla di Cercare l’Equilibrio tra Vita e Lavoro

Siamo davvero sicuri che riuscire a trovare un equilibrio tra tempo di vita e tempo di lavoro sia la chiave di svolta per tornare ad essere felici?

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Alberto Mattei: Sono il fondatore di Nomadi Digitali. Un progetto di comunicazione collaborativo e autofinanziato che nasce nel 2010 con l'obiettivo di diffondere anche in Italia la cultura del lavoro da remoto e del nomadismo digitale. Il mio obiettivo? Crescere un movimento di persone più libere e più felici per rendere il nostro mondo un posto migliore.

Pubblicato il: 20 Febbraio 2018 | Categoria:

“Forse dovremmo smetterla di cercare questo benedetto equilibrio tra vita e lavoro!”

Lo so, detta così sembra una provocazione, in parte lo è, soprattutto da quando il concetto di “Work-Life Balance” sembra essere diventato il leitmotiv del nuovo millennio.

Oggi tutti parlano di quanto sia importante ricercare un equilibrio tra la nostra vita privata e quella lavorativa per vivere meglio e di come la mancanza di un “equilibrio” sia spesso lo specchio di una conflittualità latente a livello dei valori e dell’identità della persona.

“Equilibrare tempo di vita e tempo di lavoro”!

Un concetto apparentemente ineccepibile, ma siamo davvero sicuri, se mai fosse possibile, che riuscire a dividere equamente il tempo della nostra esistenza tra quello che dedichiamo al lavoro e quello che dedichiamo a noi stessi, ai nostri interessi, alle nostre passioni e alle nostre relazioni al di fuori del lavoro, sia la chiave di volta per tornare ad essere felici?

Quando si parla della ricerca di un equilibrio tra “tempo di vita e tempo di lavoro”, ho sempre l’impressione che si cerchi di trovare un compromesso tra due entità diverse tra loro, facendo una distinzione oppositiva tra tempo di lavoro e tempo di vita che in realtà non esiste.

Che ci piaccia o no, tutti noi abbiamo solo un tempo a disposizione ed è un tempo limitato da un inizio e una fine che non siamo noi a decidere. Noi possiamo solo scegliere cosa farne di questo tempo.

L’errore nel concetto di equilibrio secondo me sta proprio qui, nel considerare la nostra esistenza divisa in due tempi diversi che devono essere ponderati tra loro!

Il rischio è quello valorizzarne solo una parte, considerando l’altra come un “non-tempo di vita”

Equilibrio o Fusione?

Io credo che se invece di cercare un equilibrio tra tempo di vita e tempo di lavoro, provassimo a miscelare e fondere insieme queste due entità apparentemente diverse, valorizzandone le sinergie e armonizzando la dimensione lavorativa con quella personale, scopriremmo così tante opportunità che noi nemmeno possiamo immaginare.

Se solo riuscissimo, facendo leva sui nostri valori, a trovare qualcosa che ci permetta di mettere quello che noi siamo in tutto quello che noi facciamo, avremmo l’opportunità di sfruttare tutto il tempo che abbiamo a nostra disposizione per ottenere il massimo dalla vita, senza scendere a compromessi.

Non c’è alcuna ragione per cui il tempo dedicato al lavoro debba essere meno piacevole di quello passato altrove.

Purtroppo nel contesto in cui viviamo è difficile immaginare uno scenario simile, perchè il lavoro sembra essere una merce di scambio (“ti vendo il mio tempo, fanne quel che vuoi e in cambio pagami”) piuttosto che un’opportunità concreta per dare un senso alla nostra esistenza.

Ma è altrettanto vero che le tecnologie digitali stanno portato oggi dei cambiamenti radicali nel modo di vivere e lavorare delle persone, abbattendo gli schemi e i vincoli del lavoro tradizionale.

Le conversazioni in Rete stanno facendo nascere nuove forme di organizzazione, nuove modalità di scambio della conoscenza e nuove opportunità per vivere e lavorare in modo più armonioso, senza vincoli di tempo di orario e di spazio.

Oggi abbiamo la possibilità di esprimere noi stessi, il nostro talento, possiamo dedicarci a qualcosa che ci appassiona veramente, prendendoci cura delle nostre emozioni e creando al tempo stesso valore e utilità per gli altri.

Si potrebbero riportare mille esempi per comprovare questa verità, voglio condividerne uno che personalmente trovo particolarmente significativo.

E’ la storia di una ragazza spagnola che partendo da se stessa, dalla sua storia personale e lavorando ai propri interessi, è riuscita a dare un senso profondo alla sua vita, al suo lavoro, al suo tempo, creando qualcosa di nuovo, di unico, trovando la sua vocazione e al tempo stesso una collocazione nel sociale.

Hai mai sentito parlare della figura della pedagoga mestruale? Probabilmente no! Erika Iruska infatti è la prima donna al mondo ad avere assunto questo ruolo, creando la prima community online relativa al ciclo mestruale e alle esperienze di mestruazione nella cultura occidentale.

In questo video (in Spagnolo) Erika racconta il suo percorso!

Ma come si fa a trovare qualcosa che ci permetta di mettere quello che noi siamo in quello che noi facciamo, valorizzando le sinergie tra tempo di vita e tempo lavoro?

A mio modo di vedere è necessario:

1) Mettere da parte i luoghi comuni!

Pensiamo davvero che in un’economia competitiva dove i vincitori sono coloro che sanno innovare spingendo più duramente sulla loro professione, la soluzione sia lavorare 35 (invece di 40) ore alla settimana?

Io credo che dovremmo mettere per un attimo da parte i luoghi comuni, smettere di guardare l’orologio e pensare piuttosto a strutturare un piano di “vitalavoro” che sia funzionale alle nostre aspettative (non a quelle degli altri), partendo da un concetto tanto semplice quanto rivoluzionario: ciò che produce felicità, ci aiuta a vivere meglio!

2) Cambiare paradigma

Smetterla di credere che solo nel momento in cui “avremo” le cose (sicurezza economica, soldi, tempo) possiamo iniziare a “fare” qualcosa di diverso per noi e per gli altri!

Quando la formula “Avere per Essere” diventa il paradigma attorno a cui gira tutta la nostra esistenza, ecco arrivare l’ansia che cresce freneticamente. Quest’ansia rappresenta in realtà tutta la vita che non viviamo, che non abbiamo vissuto, che non vivremo mai.

La verità è che non è l’avere che conduce all’essere, ma è l’essere che genera l’avere.

3) Abbracciare il cambiamento e iniziare a viverlo con passione ed entusiasmo

Abbracciare il cambiamento significa essere disposti a cambiare prospettiva, significa mettersi in discussione, accettare una sfida, significa uscire dalla nostra area di confort con l’obiettivo di vivere e lavorare in sintonia con i nostri valori e le cose in cui crediamo.

Occorre acquisire piena consapevolezza di quello che sta avvenendo e accettare il fatto che i vecchi paradigmi legati al mondo del lavoro si stiano ormai sgretolando ed è del tutto inutile continuare ad inseguirli.

Questo non soltanto perché il posto fisso e garantito non esiste più, ma perché l’idea stessa di guardare al lavoro semplicemente come alla ricerca di un impiego, di un mestiere o di una professione da svolgere, magari che poco hanno a che vedere con il nostro modo di essere e dunque di vivere, è una visione troppo limitativa in un contesto come quello attuale dove creatività, unicità, autenticità, fiducia e autorevolezza sono chiavi le chiavi di volta per avere successo.

Se l’obiettivo primario fino ad ora è stato quello di offrire le nostre competenze (e il nostro tempo) ad un datore di lavoro in cambio di uno stipendio, l’evoluzione in atto comporta sempre più diffusamente l’essere retribuiti per risolvere problemi o per soddisfare esigenze specifiche, non per il tempo passato in ufficio o per i titoli di studio che abbiamo conseguito.

Concludo questo mio post cosi come l’ho iniziato, con una provocazione, sperando che tu possa trovare il modo di comprendere la vera essenza:

“Lo stipendio è un vincolo… è come l’aria che respiriamo, è necessaria per vivere, ma respirare non è lo scopo della vita”.



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