Trasformare la Propria Vita Partendo per Un Viaggio

Ti racconto come e perché partire per un viaggio di sola andata ha significato per me trasformare la mia vita

Ilaria Cazziol: Da sempre al posto fisso preferisco l’idea di un lavoro che mi permetta di viaggiare e di godere della mia libertà. Amo la comunicazione digital e dopo qualche intenso anno in un’agenzia ho deciso che volevo realizzare i miei sogni: così mi sono messa in viaggio, scrivendone su viaggiosoloandata.it e facendo copywriting, SEO e traduzioni come freelance.

Pubblicato il: 3 Dicembre 2019 | Categoria:

Quando ero ragazzina e la mia originaria Milano, seppur fosse una grande città con tutto ciò che poteva offrire, mi stava stretta, mi sentivo sempre ripetere una cosa: “Non serve cambiare posto se non stai bene con te stessa”.

Una grande verità, indubbiamente. Per anni ho anche pensato che fosse l’unica. Che avessero ragione, senza se e senza ma, e ho cercato di cambiare me stessa senza cambiare posto.

Ci ho provato, lo giuro, ma con scarsi risultati.

Poi un bel giorno, ho ceduto. Era il momento della scelta dell’università, e io ho fatto la follia.

In un momento della vita in cui gli adolescenti di mezza Italia lasciano casa e famiglia per venire a studiare a Milano, io ho lasciato casa e famiglia per andare a studiare…a Urbino (nelle Marche, se te lo stai chiedendo).

E ho scoperto una cosa sorprendente…che avevano ragione. Ma solo fino a un certo punto. Oltre quel punto, avevano torto marcio.


Un Viaggio per Cambiare Se Stessi

A Urbino, ero sempre la solita me. Ma qualcosa era diverso. Ed è stato abbastanza per iniziare a cambiare anche me stessa.

Ho scoperto che è vero che se non stai bene con te stesso, non starai bene da nessuna parte, ma anche che a volte mettersi nella condizione di cominciare da zero aiuta tantissimo a fare entrambe le cose.

Non sto dicendo che prendere e partire sia la soluzione di ogni male, anzi. Se lo si fa in maniera sprovveduta, rischia di essere un’arma a doppio taglio. Ma ci sono circostanze in cui il fatto stesso di metterci in un contesto diverso, nuovo, ci spinge ad essere diversi e nuovi con noi stessi.

È un po’ come trovarsi nell’acqua alta senza salvagente e dover in pochi secondi scegliere se affogare o mettere in pratica quelle poche lezioni di nuoto che si erano fatte. Sarà istintivo, se le basi sono giuste, iniziare a muoversi per restare a galla. È una forma di istinto di sopravvivenza, un concetto che io applicherei a molti più ambiti di quelli biologici.

Da allora, ho profondamente rivalutato l’impatto che l’ambiente esterno può avere su di noi e su come ci sentiamo. È vero che la felicità e la soddisfazione devono venire dal di dentro, ma è molto più facile mettersi nelle condizioni di poter cercare quelle sensazioni quando riusciamo a creare anche le condizioni esterne per il loro successo.

Il nomadismo digitale, per me, è stato la stessa cosa. Non per tutti è così, e anzi la maggior parte delle persone potranno forse dire il contrario, ma io non credo sarei mai riuscita a realizzarmi, prima come freelance stanziale e poi come nomade digitale, se non fossi partita per il mio viaggio solo andata.

Se non avessi acceso io stessa la graticola sotto il sedere con cui avrei rischiato di bruciarmi.

Il piano c’era ed era ben congeniato: avevo le capacità tecniche come copywriter, sapevo che c’era un mercato di aziende che ne aveva bisogno, avevo accumulato un paio d’anni di esperienza nel settore e raccolto un portfolio, e in linea teorica il tutto poteva essere remotizzato.

La strada avrebbe potuto essere lunga e per piccoli passi, o breve ma con un grande salto.

Io ho scelto la seconda: mi sono licenziata.

Mi sono messa nella condizione di non poter fallire – non avevo piani B.

Il che non è mai del tutto vero, perché quasi nulla è irrevocabile e raramente ci troviamo con come unica alternativa il fallimento completo. In fondo, avrei sempre potuto tornare indietro, cercare un altro lavoro tradizionale. Le capacità le avevo, l’esperienza minima richiesta anche.

Ma la sensazione era che non fosse così, ed è quella sensazione che attiva i recettori del cervello che ci spingono ad agire. Lo “stress positivo”, se vogliamo.

A Google lo chiamano “moonshot thinking”, un principio che suggerisce di pensare in grande per salti quantici e non per piccoli miglioramenti incrementali, come se non si potesse fallire, se non fosse un’opzione.

È così che, appunto, siamo riusciti a mandare l’uomo sulla luna.

Certo che per riuscirci bisognava avere le giuste competenze di ingegneria spaziale e di un paio di altre cosette, altrimenti non si sarebbe chiamato moonshot thinking ma follia senza senso.


Qual è il Viaggio che Cambia la Vita?

Partire per un viaggio solo andata è stata la mia soluzione, come ho già raccontato nel mio primo articolo. Ma non è universale, e probabilmente non è nemmeno la migliore.

Il viaggio non è necessariamente fisico, soprattutto quello che serve per cambiare vita. È mentale prima di tutto.

È una decisione, la partenza da un luogo nella nostra mente prima ancora che con il nostro corpo. La scelta di non voler più rimandare la felicità, o aspettare le condizioni perfette e l’allineamento dei pianeti.

È fare un primo gesto per cominciare a creare le condizioni minime indispensabili, perché quelle sì, dipendono da noi.

Studiare quella materia che vogliamo diventi il nostro futuro. Fare un progetto, anche gratuito, che ci permetta di creare un portfolio nella professionalità a cui puntiamo.

E poi, eventualmente, cambiare aria.

Avere il coraggio di lasciare un posto di lavoro che ci avvelena lo spirito, o una relazione che ci tarpa le ali. O anche solo partire per quella vacanza che sognamo da anni ma che non abbiamo mai avuto abbastanza soldi, abbastanza tempo o, semplicemente, abbastanza coraggio per fare.

Praticare degli esperimenti, provando a remotizzare la nostra professione, lavorando da casa o da fuori, con un breve viaggio.

L’importante, come dico sempre, è un primo passo.

Né troppo grande né troppo piccolo, ma certamente un primo, imprescindibile passo che puoi fare solo tu.


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