La Voglia di Rimettersi in Gioco

Mi sentivo prigioniera di un sistema che avevo inconsciamente accettato tempo prima, ecco perché ho deciso di rimettermi in gioco e sono partita

Serena Lampus: Ho lasciato la mia bellissima Itaca, la Sardegna, e ho deciso di cambiare rotta. Ho messo in stand-by la mia carriera da medico per partire da sola alla volta dell'Australia, dove vestire i panni di una nuova professione, quella della "curiosa". Un anno sabbatico? Due anni di riflessione? Un'intera vita in viaggio? Non so, "no planning" questo è il mio motto!

Pubblicato il: 30 Maggio 2013 | Categoria:

In molti lo chiamano cuore, altri coscienza, altri vero sé. Per me è la voce interiore. La mia essenza.

Ha reclamato a lungo il suo posto al centro della mia vita prima che mi decidessi a lasciarle spazio, indaffarata com’ero a rincorrere progetti di vita che avevo appreso crescendo.

Una vita sterile, fatta di caccia ai 1000-2000-3000 euro al mese, per indebitarsi ogni giorno di più dietro al mutuo per la casa, le cose che l’avrebbero riempita, le bollette, la macchina, la benzina, l’assicurazione, le tasse all’Ordine dei medici, e così via in una spirale che mi rinchiudeva in uno spazio sempre più angusto, sommersa di cose, stress e frustrazione.

Il futuro programmato fin nei minimi dettagli, le tappe col concorso per cui studiare un anno, la scuola di specializzazione per altri cinque, poi le guardie mediche e la ricerca di un posto fisso in ospedale. Una vita pianificata, dove infilare due settimane di vacanza all’anno, dove assaporare un assaggio di libertà per poi dover ritornare sotto il regime del lavora-produci-spendi.

Non mi sentivo realizzata nel lavoro che facevo, ma ancora di più mi sentivo prigioniera di un sistema che avevo inconsciamente accettato tempo prima, del quale stavo diventando sempre più consapevole e che mi andava sempre più stretto. Mi sentivo un pollo in gabbia, stipata tra migliaia di miei simili, col solo scopo di mangiare per respirare e ingrassare. Triste come un topo in uno stabulario.

“Questo era vivere?”

Inquietudine, la mia compagna di vita. Insieme all’incapacità di accontentarsi e di credere che la vita “è tutta qui”.

Le notti reclamavano il loro tributo, tormentandomi col loro silenzio e pretendendo risposte alle domande

Cosa voglio? Cosa? Una vita. Che vita? Dove? Come? Qui? Chi voglio essere? Cosa voglio?… davvero, che voglio?“.

In un’altalena di domande e mancate risposte, ho in fine iniziato ad ascoltare quello che il mondo oltre la mia finestra -reale e virtuale- aveva da dire.

La voce arrivava da luoghi lontani, da libri e blog che mi permettevano di gettare lo sguardo su vite emozionanti, piene di avventura e spiritualità, strade di crescita personale e sfide, ricche di luoghi e diverse nei volti; erano le storie di tante persone che avevano un giorno deciso di partire, di mettersi in viaggio, di rischiare, e bada bene, non solo fisicamente ma anche e soprattutto interiormente.

Erano le storie di grandi viaggiatori e imprenditori, di chi aveva saputo reinventarsi dopo un fallimento, di chi non aveva perso tempo a piangersi addosso e aveva deciso che la vita era troppo breve e preziosa per sprecarla in stand-by.

Ho letto e ho ascoltato: la mia voce ha iniziato a cantare, a disegnare sorrisi dietro ogni Paese che avrebbe voluto vedere, ogni angolo di Terra che avrebbe voluto calpestare e ogni attività che avrebbe voluto provare.

È così maturata la mia personale idea di viaggio: volevo fare la “curiosa”, volevo provare mille lavori, volevo salire sull’Annapurna e riposare sulle spiagge della Thailandia, volevo baciare la terra rossa di Uluru e immergermi nei mari di Cairns. Volevo pedalare nell’Eden della Nuova Zelanda, camminare per centinaia di km con uno zaino in spalla, provare la sete e la fame. Volevo lavorare negli ostelli e nelle fattorie. Perdermi tra India, Laos, Cambogia, mettermi un naso rosso e fare il pagliaccio. Volevo entrare a far parte della vita di una famiglia agli antipodi, volevo scrivere, volevo imparare un’altra lingua straniera, lasciare spazio all’imprevisto, al “no planning”, alle attività che avrei scoperto di poter fare lungo il percorso. Volevo iniziare a vivere delle mie capacità e del mio impegno, ma soprattutto della mia voglia di vivere.

Volevo viaggiare leggera, smettere di praticare il possesso e l’accumulo, fidarmi e abbandonarmi alla vita e alle sue lezioni.

Ora sapevo cosa volevo. Col tempo son arrivata a capire anche che dovevo. Ma troppo a lungo mi son risposta che non potevo.

“Tieni i piedi per terra”, ammoniva un’altra parte di me, quella che credevo più razionale e che ho invece poi scoperto essere semplicemente la più insicura, timorosa e legata alla staticità perché spaventata dal cambiamento e dalle sue incertezze.

Ma quelle storie erano lì, davanti ai miei occhi, mi urlavano che loro ce l’avevano fatta e che se avessi davvero voluto avrei potuto anch’io abbandonare la strada della staticità per lanciarmi in quella della viandanza.

Grazie a loro è nato un giorno, fatto di molti giorni, di ponderazioni e informazioni. È nata la decisione di partire in Australia, una terra che mi piaceva sotto molti aspetti e che mi metteva a disposizione un’ottima piattaforma per spiccare il volo. Un buon visto, facilità di trovare lavoro e un’infinità di km di natura incontaminata e compagni di viaggio da scoprire.

Sono partita per scendere in campo e giocare in prima persona, per crescere, assumermi le mie responsabilità e prendermi sul groppone premi e tasse di questo nuovo stile di vita.

Mi son messa in gioco e vivo ogni giorno la mia sfida al domani sorridendo di un presente vivace, dove non esiste monotonia, dove mi sento davvero padrona delle mie scelte.

E anche se non so quanto durerà e come andrà a finire sono felice comunque, perché mi basta sapere che oggi alla domanda “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?” rispondo senza tentennamenti “Sì”, con un sorriso e una luce negli occhi che non avevo mai avuto prima.

Felice per aver finalmente cambiato rotta.